Elezioni europee tra euro-sì ed euro-no e tra nazionalisti ed europeisti

Il 2014 è l'anno delle elezioni europee ed il sottoscritto spera che siano l'occasione per aprire un dibattito serio e partecipato su cosa funziona e cosa non funziona nel vecchio continente. I paesi europei continuano a trasferire pezzi di sovranità a livello comunitario, con la conseguenza che le manovre economiche degli singoli Stati somigliano sempre più a manovre contabili tese ad attuare la volontà politica europea (correggere l'andamento dei conti pubblici) e sempre meno quella locale, come spiega puntualmente Luigi Pandolfi su economiaepolitica.it.
E' in Europa, insomma, che si fanno le scelte decisive per le sorti dei popoli degli Stati membri. E' in Europa, di conseguenza, che bisogna lottare per far saltare le regole che soffocano l'economia come, ad esempio, i vincoli del deficit al 3% e del debito al 60% del Pil, sanciti dal Trattato dell’Unione. Come spiegavano gli economisti firmatari dell'Appello per la stabilizzazione (non l'abbattimento) del debito pubblico, si tratta di vincoli che non godono di alcuna legittimazione scientifica: "(...) l’analisi economica mostra che non esiste un’unica definizione plausibile di sostenibilità delle finanze pubbliche: per ogni data differenza tra i tassi d’interesse e i tassi di crescita del reddito, esistono molteplici combinazioni possibili del deficit e del debito (...)". Anzi, come spiegato in un post precedente, non mancano argomenti a favore di una netta inversione di marcia in proposito, necessaria per avviare una generosa politica di espansione della spesa pubblica.
Solo sei mesi fa, su questo blog, si auspicavano riforme della Banca Centrale Europea e del Bilancio dell'Ue, misure funzionali a politiche fiscali espansive a livello comunitario, ma si apriva anche al dibattito in corso tra i più scettici e i più ottimisti rispetto alla loro realizzabilità politica: "Alcuni sostengono che strade come quella indicata da Hollande sono illusorie, dato che Germania, Olanda e Finlandia non sarebbero disposte a finanziare il bilancio Ue in favore dei paesi in crisi, come avviene negli USA, o a riformare la Bce in direzione della Fed americana. La minaccia concreta di uscire dall'euro, di conseguenza, è vista come l'unica scossa politica in grado di cambiare le cose. Altri, al contrario, sostengono che un ritorno alle monete nazionali sarebbe un passo in più verso le posizioni della destra nazionalista e un favore ai grandi gruppi industriali e finanziari che, invece, sono organizzati su scala internazionale".
Durante questi sei mesi, il fronte antiliberista europeo ha accusato duri colpi. Hollande ed il suo Partito Socialista sono sempre più deboli in patria e, di conseguenza, in Europa; il Partito Socialista tedesco governa in patria insieme alla Cdu della Merkel in base ad un patto che prevede salario minimo in Germania in cambio del "no" ad eurobond e debito condiviso in Ue; le candidature per la presidenza della Commissione europea non sembrano garanzie di cambiamenti radicali: il programma più antiliberista incarnato da Alexis Tsipras fa i conti con la frammentazione e debolezza dei partiti aderenti al gruppo della Sinistra Europea, mentre il candidato del gruppo dei Socialisti europei, il tedesco Martin Schulz, si porta dietro il fantasma del patto alla base delle larghe intese di casa propria. Non è un caso, infatti, se Enrico Grazzini, ancora su economiaepolitica.it, assegna solo il 10% di probabilità ad uno scenario di riforma radicale dell'euro.
Queste considerazioni, a mio parere, non dovrebbero avere l'effetto di scoraggiare e far rinunciare alla lotta per le riforme auspicate e, soprattutto, non devono far tramontare l'ideale di Unione tra i popoli europei e causare la loro resa davanti al potere transnazionale di gruppi industriali e finanziari. E' solo con una rappresentanza unitaria e con politiche coordinate a livello internazionale che è possibile affrontare le più grandi ingiustizie economiche del nostro tempo, come dimostra la lotta dell'Ue contro l'evasione e l'elusione fiscale delle multinazionali in cerca di paradisi fiscali.
Allo stesso tempo, però, quelle considerazioni in merito alla bassa probabilità di realizzare politicamente una riforma radicale dell'euro devono servire a preparare una sorta di Piano B come, ad esempio, quello ripreso da Grizzini: un ritorno concordato alle monete nazionali, e quindi alla sovranità monetaria, ora in capo alla sola Bce, conservando l'euro come moneta comune (non più unica) da adottare negli scambi con le valute esterne all'Ue. Le ragioni espresse da Frédéric Lordon su Le Monde Diplomatique sono più che esaurienti ed è importante sottolineare la sua concezione di sovranità: "non intesa come esaltazione mistica della nazione, ma come capacità dei popoli di determinare il loro destino", perchè l'unità dei popoli resti sempre il faro verso cui navigare, anche con moneta comune piuttosto che unica.
Il dibattito, ovviamente, è ancora in divenire ed è importante che sia aperto e partecipato. Le drammatiche conseguenze sociali dell'austerità non devono scoraggiare o far cedere a sentimenti antieuropeisti e nazionalisti che spengono l'interesse verso le vicende comunitarie. Gli italiani, ad esempio, devono cominciare con una forte autocritica: Tonino Perna su il manifesto spiega che tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni non sono diktat, ma fanno parte della moral suasion degli "ideologici neoliberisti di Bruxelles" che, comunque, non ci impediscono nè di costruire un sistema fiscale progressivo che colpisca maggiormente i redditi più alti nè tantomeno di tagliare la spesa militare e quella per le grandi opere più inutili e dannose e, ovviamente, neanche di spendere i 6,7 miliardi di Fondi Europei invece di restituirne quasi la metà per mancato utilizzo. L'Europa, insomma, non è la causa principale delle nostre disgrazie e, soprattutto, sta a noi costruirla.

ristabilire le monete nazionali con cambi fissi aggiustabili. L’euro potrebbe però rimanere come moneta comune di fronte alle altre valute internazionali - See more at: http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/gli-scenari-delleuro/#.UtGN47QSExZ su "il manifesto", ad esempio, Tonino Perna spiega che tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni non sono diktat, ma solo moral suasion degli "ideologici neoliberisti di Bruxelles" e che, nel rispetto dei vincoli di bilancio europei, nulla impedisce ad un paese come l'Italia di imporre una progressività fiscale che colpisca i redditi medio-alti, tagliare spese militari e grandi opere inutili e dannose o spendere i 6,7 miliardi di Fondi comunitari invece di restituirne quasi la metà.   

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